Meteri

Il mondo Meteri: L’anima pura dello Jura

Il mondo Meteri: L’anima pura dello Jura

Diamo il via ad una nuova rubrica!

Ti porteremo all’interno del Mondo Meteri affrontando ogni volta una tematica diversa a partire da approfondimenti su territori e regioni, sul processo di ricerca e selezione che ci contraddistingue, sui trend del mondo del vino e come ci stiamo muovendo in tal senso, sui produttori, sui vini Meteri, sulle persone che contribuiscono attivamente alla crescita ed evoluzione quotidiana del nostro lavoro.

Primo episodio è sulla regione francese dello Jura!

Ultimamente ha risvegliato parecchio interesse tra gli addetti del settore e gli appassionati e quindi perché non farti scoprire come funziona la nostra ricerca parlandoti di un territorio così chiacchierato come lo Jura?
La prospettiva del racconto che leggerai è quello di Raffaele Bonivento, fondatore e amministratore di Meteri, che da più di vent’anni è alla costante ricerca di vino buono fatto da vigneron artigiani.

Pupillin è una manciata di case, tutte di sasso, in un avvallamento tra verdi colline ricoperte di boschi; un villaggio abbastanza isolato perché non è di passaggio per andare da nessuna parte. Se ci vuoi andare, a Pupillin ci devi andare. Dall’altra parte delle colline ci sono i più amati Cru dello Jura, regione che da qualche tempo fa impazzire gli appassionati di vino di tutto il mondo.

È un posto immobile e silenzioso, dove si respira un’energia contadina di lunghissimo corso: la via principale si chiama Rue de Ploussard. Poi potrete trovare Chemin des Vignes, Rue du Savagnin e via così. Si tratta di un posto del vino contadino, che vive di vino e solo di vino. Se a Pupillin ci passi tre quattro volte l’anno da vent’anni, ti ricordi anche il numero dei sassi.

I VITIGNI DELLO JURA

Da un punto di vista ampelografico la regione dello Jura si caratterizza per la presenza di tre vitigni autoctoni e due vitigni internazionali. Tra i rossi, Poulsard, Trousseau e Pinot Noir che in questi luoghi danno vita a vini molto eterei, profondi, dal colore scarico, a volte trasparente. Tra i bianchi Savagnin e Chardonnay, dai quali si producono vini potenti nel profilo minerale e dinamici per freschezza, ma discreti nello spettro olfattivo.

Nel luogo di elezione, Pupillin, i suoli sono marnosi mentre nel resto della regione si alternano marna, granito e terreni argillo-calcarei.

LA REGIONE DELLO JURA

Lo Jura conta solo 2.000 ettari vitati, risultando di fatto una piccolissima regione, se confrontata alla vicina Borgogna che ne conta circa 30.000. Storicamente la produzione dello Jura è celebre per i suoi vini in stile ossidativo, prodotti da uve Savagnin e Chardonnay in botti che per anni non vengono rabboccate, dando vita ad espressioni uniche ed irripetibili. Questo stile di vinificazione è detto pas ouille, appunto “non rabboccato” o anche “vin de Voile” perché grazie ad una
“magia” enologica, nella botte scolma il vino viene protetto dal diventare aceto dalla formazione di un “velo” bianco, appunto “voile” che lo protegge dall’ossigeno.

Va detto che questi vini sono rari e costosi e oggi il successo dello Jura si manifesta più nella produzione di vini in forma classica che in questo stile ossidativo che resta un piccolissimo contributo di poche cantine. Per la gioia dei vostri sensi, un vin de Voile e un pezzo di Comtè e sentirete cantare gli angeli.

La volta in questione di cui parliamo oggi era a fine ottobre, i vigneti erano di un giallo dorato esplosivo ed eravamo ad Arbois per visitare produttori, incontrare amici e, bisogna ammetterlo, per comprarci chili di Comtè e Morbier da portare in Italia.

Viaggiavano con me dei giovani collaboratori alla prima esperienza nella regione e così, dal momento che avanzava un po’ scattare qualche foto e mostrare quel luogo mistico a occhi curiosi e affamati di conoscenza e di cose buone. Facciamo tutto il giro, risaliamo la collina da dietro, arriviamo al punto più alto sopra il villaggio e ridiscendiamo per la strada principale in direzione Arbois, lentamente, curiosando e guardando a destra e sinistra, anche per far passare il tempo perché mancavano più di un’ora e 15 km all’appuntamento successivo. L’occhio mi cade su una piccola insegna che già mi colpì lo scorso luglio perché mi sembrava di non averla mai vista prima di allora. E non si poteva non ricordarla, perché portava due cognomi, uno dei quali è un paradigma per chi ama i vini dello Jura: Overnoy. Il cartello diceva “Overnoy-Crinquand” Vigneron Bio. Chiedo ad Elisa di scendere a vedere se c’è qualcuno, è pur Sabato pomeriggio e non abbiamo un appuntamento. Elisa scompare nel viottolo e riappare sorridente dopo pochi istanti facendomi capire a gesti che il Vigneron è in casa. Elisa è la mia assistente di direzione e pur sempre con un sorriso disarmante ha la determinazione di un caterpillar. Continuo a non credere nella fortuna e mi ripeto il mantra:

“Lo Jura fa poco vino, i produttori sono pochi, quelli che fanno vino buono sono pochissimi ed hanno tutti le cantine vuote e tutto il vino va venduto appena imbottigliano”.

Parcheggio e scendo più nell’idea di trascorrere in modo piacevole l’ora che ci rimane prima del prossimo appuntamento, che realmente pensando che siamo in una fase “cruciale” del processo di ricerca che per vent’anni è servito a comporre l’attuale portfolio di Meteri. Ci viene incontro un po’ incredulo il padrone di casa (siamo pur sempre italiani) che probabilmente pensa a dei curiosi perditempo. Aveva in mano un trapano e stava trafficando con degli utensili da muratore, in ciabatte, quelle da piscina blu e bianche col calzino d’ordinanza, bianco.

Vado dritto al sodo, non ho nessuna ambizione a molestare inutilmente un produttore di Pupillin il sabato pomeriggio se non ne vale proprio la pena.

Buongiorno, avete del vino?

Claude Overnoy Criquand mi risponde che sì, ha del vino. Sorride e probabilmente pensa che siamo dei perditempo. Rincaro la dose, cerchiamo di capirci.

Siamo importatori, mi stai dicendo che hai vino da vendere?

Claude si sente un po’ pressato ma conferma, sì, ha vino da vendere per un importatore. La mia incredulità è bella solida. Adesso mi dice che usa i lieviti e il frigo e festa finita.

Ho visto che sei biologico, è scritto nel cartello, ma fermenti spontaneamente?

Capisco che sembro un funzionario di Equitalia ma tantissime volte, tantissime, tutto finisce a questa domanda o alla successiva, per cui non mollo e continuo

“Ma fai vini senza usare lieviti, senza chiarifiche, senza filtrazione sterile?

Claude capisce che malgrado l’atteggiamento sbrigativo e un po’ irriverente siamo “del mestiere” e risponde prontamente che sì, fermenta senza lieviti, non chiarifica e che non filtra sterile. Lui è un po’ imbarazzato, forse non abituato a questa velocità ma curioso e interessato.

L’emozione sale, abbiamo superato le domande dove cadono il 99% dei produttori che “io al vino non ci faccio niente”. Forse abbiamo trovato un produttore “dei nostri” che non conoscevamo? In Jura? A Pupillin? E che si chiama pure Overnoy? Il mio “io prudente”, quello che deve tenere a bada il mio “io gagliardo e sognatore” mi mette subito un guardia: i vini saranno delle ciofeche, stanne certo. Mi ammorbidisco, devo assolutamente assaggiare. Devo assaggiare, SUBITO. Lo approccio più gentile:

Mi spiace se siamo qui senza appuntamento, mi spiace che sia sabato ma ti assicuro che non ti faccio perdere tempo, potremmo assaggiare qualcosa?

Claude, cugino di Pierre, esita, probabilmente per timore che a questo punto si fa un po’ reverenziale, e poi chiede cosa vorremmo assaggiare. Mi illumino e l’impazienza mi morde le chiappe.

“Assaggiamo tutto, non preoccuparti, siamo veloci, decidi tu, assaggiamo tutto quello che vuoi farci assaggiare. Una sola raccomandazione: facci assaggiare vini dove hai delle quantità da vendere all’export”.

In Jura si assaggia “rovescio”, prima i rossi e poi i bianchi e partiamo da un Ploussard (nome arcaico del Poulsard, vitigno autoctono che a Pupillin viene scritto e pronunciato alla “vecchia”) 2018. Il tempo si dilata, l’emozione sale, mi sforzo di mantenere un profilo neutro. La capsula va, il tappo pure, la bottiglia di inclina e il vino esce nel bicchiere. Il colore è commovente, ricordo esattamente la prima volta che vidi un Poulsard nel bicchiere, fu a Lione molto tempo fa, nel 2004, e il colore non te lo dimentichi più.
Trasparente, tendente al granato scuro. Un colore quasi impossibile. Il vino è bellissimo a vedersi; avvicino al naso il calice e Pupillin mi accarezza i recettori con sicurezza e verve. Sono cotto, sedotto, a questo punto resta l’ultima trappola da superare: con un naso così non può non essere buono, ma in bocca?

Come sarà in bocca questo Ploussard che fin qui non ha sbagliato un colpo? Sorso, aria in bocca ad esaltare le sensazioni retro-olfattive, mi ascolto. Sono teso ma ogni secondo mi sciolgo, mi emoziono, arrivano i ricordi, cerco nella memoria di posizionare questo nettare, di trovare le similitudini. E le similitudini sono tutte li, bevute in quelle quattro case che ci sono li intorno. Anni di visite, bevute, assaggi, chiacchiere, calore umano in fredde cantine. Il vino è meraviglioso (lascio agli esperti l’elenco dei descrittori), mobile, scorrevole, salino, fresco e golosissimo. Aria in bocca, pensa, ricorda, ascoltati. Sputo. Mi ascolto ancora. Cade la tensione, il vino è splendido, territoriale in modo scolastico, seducente, godevole. Il mio “io rompiscatole” non molla, vedrai che è un colpo di fortuna e che il resto saranno ciofeche. Arrivano una seconda annata di Ploussard, Trousseau, Pinot Noir (che qui sa anch’esso di Pupillin): coerenti, beverini, dispiace sputare. Territoriali!

Ma quanto è buono Pupillin. Poi Chardonnay Ouillè, Savagnin Ouillè, poi una sequenza di Pas Ouillè. Abbiamo trovato un fuoriclasse, o forse, stavolta, lui ha trovato noi.

Mezz’ora dopo avevamo messo giù un ordine da 1500 bottiglie (che da queste parti sono tante) davanti alla sua incredulità e un po’ di diffidenza. Un mese dopo le bottiglie erano in Italia e chiunque le abbia assaggiate le ha ordinate, e dopo un altro mese il vino è quasi finito. La morale è che la fortuna va aiutata, e mai prima di allora mi è andata così. Ma per aiutare la fortuna il territorio lo devi vivere, lo devi annusare, lo devi respirare. E questo, per fortuna, è ciò che ho sempre amato in ogni dimensione del viaggio.

L’esplorazione, la scoperta, il racconto. Se tutto questo lo fai bevendo vini buoni, è il lavoro più bello che qualcuno possa immaginare.

Raffaele

By |2024-02-19T12:30:52+01:00febbraio 19th, 2024|Senza categoria|0 Commenti

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