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I Vini Orange nell’Alta Ristorazione: Parla Alfredo Buonanno, sommelier del Krésios

I Vini Orange nell’Alta Ristorazione: Parla Alfredo Buonanno, sommelier del Krésios

Uno dei compiti più importanti del “sommelier da ristorante” è quello di trasmettere un messaggio agli ospiti in maniera chiara e veloce; ma si sa, sfatare dei tabù è missione parecchio complicata.

Probabilmente siamo stati noi a complicarci la vita: parlare di “vini naturali” solo quando il vino è caratterizzato da una forte volatile o da un’ossidazione, ha fatto sì che oggi – prima di presentarli – bisogna giustificarsi. Giustificarsi innanzitutto ridefinendo quello che è il concetto di naturale e giustificarsi in modo che l’ospite non metta il naso nel calice già prevenuto.

Non è semplice soprattutto per chi, come me, lavora principalmente con vini ottenuti da fermentazioni spontanee, in cui la chimica in cantina è ridotta all’essenziale e la solforosa pure. Quella prefazione, quel “giustificare” il vino versato a volte dura più della spiegazione stessa del vino: quindi di chi lo fa, perché, dove e il motivo dell’abbinamento. Un peccato! Mi rendo conto però che solo così facendo, buona parte delle persone accetta con grande curiosità e desiderio quel vino.

Anche per i vini orange è così: prima di parlare del vino bisogna fare un preambolo sul termine e sulle origini, spiegando che non è una moda nata una settimana fa bensì l’unica possibilità che in passato, in assenza di lieviti selezionati, le uve a bacca bianca avevano possibilità di fermentare e diventare quindi vino.

Non ricordo quando ho assaggiato il mio primo orange: ho avuto la fortuna di crescere con delle persone innanzitutto più grandi di me, persone già ben navigate nel mondo del vino con le quali ho capito che non bisogna avere preconcetti per bere.

La fortuna di muovere i passi in sala di un ristorante in cui si accetta di “fare un’esperienza a 360°” mi rende sicuramente la vita più semplice.

Non c’è mai stata una reazione negativa, anzi la sensazione è quella dello stupore.

Sono dell’idea che in alcuni casi la macerazione per i bianchi sia fondamentale: solo così si può donare carattere e “timbrare” dell’uva stessa il succo della polpa. Infatti, nonostante la buccia rappresenti solo il 10-15% del peso dell’acino, la sua composizione è preziosa almeno quanto quella della polpa: oltre a pectine e cellulosa che ne formano la struttura, è ricca di sostanze aromatiche e di molti polifenoli. Un altro aspetto importante è legato alla pruina, un sottile strato ceroso che aiuta a trattenere i lieviti spontanei.

Oggi da Krèsios il percorso pairing ricopre un ruolo fondamentale: completare l’esperienza e renderla ancora più unica.

Abbiamo due percorsi degustazione: Mr. Pink e Mr White; la differenza è legata al numero di piatti e Mr. White è il menu più completo.

Ai due percorsi aggiungiamo la possibilità di scegliere l’abbinamento.

Il pairing prevede come inizio un infuso: serviamo freddo in un calice da vino un infuso dato da due tè (uno verde e uno nero) e del roiboos; estraiamo il tè in Gastrovac, una sorta di pentola a pressione che sfrutta una valvola che porta a -1 bar la pressione all’interno del recipiente; così facendo evitiamo di portare a 80°C l’acqua per l’infusione, e a circa 25°C riusciamo ad avere una completa estrazione dei profumi e del gusto senza ossidare o estrarre i tannini che sarebbero troppo evidenti quando l’infuso viene servito a circa 12°.

Ci tengo ad aprire questa parentesi sull’infuso perché credo sia strettamente collegato all’infusione delle bucce nel mosto d’uva, come avviene nei vini orange.

E proprio come l’infuso di tè e rooibos è fondamentale per accompagnare la prima parte del percorso fatto da fermentazione e marinature – l’alcol apporterebbe durezza e acidità in questo caso – gli orange mi aiutano a tenere il passo di alcuni piatti presenti all’interno del menù.

Elenco 3 esempi in cui non posso fare a meno di questi vini:

  •     Ceci e ricci
  •     Genovese di Wagyu
  •     Spaghetto allo scoglio

Ceci e ricci: crema di ceci e ricci di mare; qui un orange come il Kai di Paraschos mi aiuta a bilanciare la sapidità e la “ferrosità” dei ricci e allo stesso tempo a ricordare la texture cremosa dei ceci.

Genovese di Wagyu è invece un omaggio alla famosa salsa Napoletana ottenuta con cipolle e carne di manzo: spennelliamo una salsa di cipolle (ottenuta con la pentola Ocoo, un macchinario che estrae in controcorrente di vapore) su slice di Wagyu semplicemente lasciate qualche secondo sotto la lampada del pass.

In questo caso la grassezza della carne e la dolcezza della cipolla vengono bilanciati da un orange come Bamboo Road di Stefano Legnani.

Spaghetto allo Scoglio è probabilmente il piatto icona di Krèsios. Richiama quello che è uno dei piatti a sua volta icona della Campania intera dove il mare è protagonista con frutti di mare, crostacei e molluschi.

Il nostro spaghetto allo scoglio parte proprio da una sorta di zuppa di pesce composta da circa 50 differenti “pezzi” di pesce. Tutti pesci infusi in acqua per circa 3 giorni in cui viene spesso aggiunto azoto liquido per mantenere vivo il colore del corallo e non ossidare il gusto del pesce.

Una volta ottenuta questa zuppa si riduce a fuoco alto finché non si ottiene una salsa più densa in cui saranno poi cotti gli spaghetti. Il piatto viene completato con una spolverata di pepe nero.

Data la concentrazione di gusto dello spaghetto è inevitabile un orange con una gradazione alcolica più importante (durante la preparazione c’è aggiunta di peperoncino che rende il piatto leggermente piccante) e che regga la spinta iodata del piatto; ho immediatamente pensato ad un Perpetuo e mi sono letteralmente innamorato del  N° 73 Perpetuo di Viteadovest.

Ad oggi, il Perpetuo di Vincenzo Angilieri rappresenta l’unico abbinamento fisso del nostro percorso di pairing. Tra l’altro, quando si parla di Vino Perpetuo, si parla della storia degli orange wine e dei vini macerati. In Sicilia, specialmente a Marsala, era usanza fare il “rabbocco perpetuo”, ovvero rabboccare la stessa botte con il vino nuovo ogniqualvolta se ne consumasse. Una pratica che consentiva anche di stabilizzare la qualità del vino. 

I vini orange sono anche questo: puoi sì fare un grande abbinamento, ma soprattutto puoi offrire un vino con grande carattere e personalità, e che esprima tutte le peculiarità dell’uva. Un vino che parli di terroir, della storia di quella zona, e dell’abilità del vigneron, che interpreta abilmente il tutto.

I Vini citati nell’articolo

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By |2022-01-25T17:56:10+01:00gennaio 15th, 2020|Guide sul vino naturale|0 Commenti

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